lunedì 7 marzo 2011

Il signor Nicola racconta la ghiacciaia

L'ho conosciuto durante un incontro con i residenti di Porta Palazzo, organizzato da The Gate, per parlare dei problemi del quartiere.
Il signor Nicola è un uomo tutto d'un pezzo, non più giovane ma energico, positivo ed entusiasta.
Uscendo abbiamo fatto un po' di strada insieme, abita in via Priocca il signor Nicola, e camminando un po' sul marciapiede sconnesso e un po' in mezzo alla strada, come tutti in zona siamo abituati a fare, ha cominciato a raccontare.

Racconta di Porta Palazzo di com'era, parla del condominio in cui vive con l'orgoglio di chi ha avuto parte attiva nella ristrutturazione dello stabile. Mi invita ad entrare, in effetti il palazzo è bello, l'androne è pulito, colorato con un certo gusto; due grandi archi si aprono su un piccolo spazio condominiale pieno di piante.
Adesso ce ne sono poche, mi dice, è inverno e le abbiamo portate al riparo, ma d'estate, e fa un gesto con la mano come per dire è tutta un'altra cosa.
Mi indica lo spazio tra il cortile condominiale e il palazzo di fronte: Qui scorreva l'acqua, mi racconta, e c'erano i mulini proprio lì dove ora c'è il palazzo della regione.
Ha l'entusiasmo e la fierezza di un ragazzo e lascia trasparire un grande amore per Torino e per la zona in cui abita, pur mantenendo un forte accento meridionale che rivela le sue origini.

Gli chiedo della ghiacciaia e lo invito a raccontarmi di più, lui accetta volentieri e in un paio d'ore mi illustra tutta la sua vita: Una vita dura, difficile che lui narra con leggerezza e con passione. E' soddisfatto di tutte le sue scelte, è stato sempre stimato ed apprezzato e ne va fiero, pochi sono gli episodi negativi di cui parla, tutte le esperienze servono, mi dice, insomma è un uomo che vede il bicchiere sempre mezzo pieno.

Nativo di un paese vicino a Bari inizia a lavorare che è ancora un ragazzo, con alcuni amici si sposta in bici e lavora come bracciante nelle masserie. In una masseria grande, mi dice, ventotto stanze! Ci ho lavorato un paio d'anni.
E' a causa di uno scontro avuto con il padre che arriva a Torino. Parte con l'intenzione di fermarsi solo una settimana ospite di uno zio; ha diciassette anni, ha voglia di lavorare, è orgoglioso, vuole pagarsi almeno il viaggio di rientro.

Siamo nel 1956, la Torino del dopoguerra è piena di cantieri. Nicola decide di fermarsi ancora un po'. Trova un posto come piastrellista e 'trabuccante'; lavora in nero, non riesce a farsi assumere, perché lui non è residente e per assumere un lavoratore che arriva dal sud le pratiche sono lunghe e scoraggianti.
Lascia Torino quando deve assolvere il servizio militare. Diciotto mesi ho fatto! mi dice, sono diventato capo cuoco e ho anche ricevuto una medaglia di bronzo.
A Torino riprende il lavoro ma una grave allergia al cemento lo costringe a cambiare mestiere. Mi rosicchiava le mani mi dice, potevo mica usare i guanti?
Lavora come facchino, come trasportatore, lavora per un panificio e in questo periodo frequenta la ghiacciaia, ma i particolari glieli chiederò in seguito, è un fiume di parole e lo lascio continuare.

Il lavoro non lo spaventa mai è giovane, veloce, preciso e forte, e soprattutto ha una volontà di ferro, non è mai un problema cambiare mestiere, il problema semmai è ancora l'assunzione regolare che ottiene dopo anni e con molta fatica.

Siamo ormai negli anni settanta, la crisi si fa sentire e lui sceglie un lavoro più sicuro, entra in fabbrica, diventa operaio. Dopo una prima esperienza come zincatore viene assunto in fonderia: alla Mondialpista, mi dice, in pazza Carducci. E, con orgoglio, mi parla di colate di metallo fuso, di pezzi prodotti e del contributo dato per ottimizzare e perfezionare il lavoro. Non una parola sulla difficoltà, sulla fatica, sull'ambiente invivibile della fonderia. In caso questo non bastasse continua a effettuare consegne a domicilio, un secondo lavoro tra un turno e l'altro.
Il tempo vola veloce, e la ghiacciaia gli chiedo? Mi parli della ghiacciaia.

Frequenta la ghiacciaia nel periodo in cui lavora per il panificio. Facevano i panettoni, mi dice , e tenevano grandi quantità di strutto, anche più di 200 quintali, al fresco in ghiacciaia; per questo servizio pagavano un affitto e ritiravano man mano la dose necessaria.
Sulla via Carlo Noè, dove adesso c'è la porta d'ingesso al condominio, c'era una grande apertura attraverso la quale entravano e uscivano i camion carichi di blocchi di ghiaccio. Il ghiaccio era prodotto e conservato al piano semiinterrato e veniva venduto al metro.
Sull'angolo con via Priocca c'era una porta utilizzata da chi come lui andava a piedi o in bicicletta ad attingere alle scorte di merce tenuta in fresco.
Sulla via Priocca un'altra grande apertura permetteva l'accesso ai camion che trasportavano le derrate che dovevano essere immagazzinate. Un grande movimento di camion insomma intorno alla ghiacciaia!
Al piano terreno un'impiegata annotava il movimento di ciò che entrava e di ciò che usciva dall'edificio.
Un montacarichi serviva per portare le merci ai piani superiori dove i muletti le spostavano e le accatastavano servendosi di pedane di legno.
All'ultimo piano, il quinto su via Priocca, c'erano un paio di locali adibiti ad ufficio.

Viene il giorno in cui la ghiacciaia smette di funzionare. Il signor Nicola non ricorda l'anno esatto, ma è certo che ha funzionato fino ai primissimi anni settanta. Per un periodo è stata affittata alle Poste che l'hanno utilizzata come garage per i furgoni, ma da un certo punto in poi le grandi serrande in metallo che chiudevano le due aperture su via Noè e via Priocca rimangono abbassate. Immobili sempre più arrugginite, i muri senza finestre sempre più grigi. Il degrado si impossessa dell'edificio.
Un paio di volte le serrande vengono divelte e l'edificio viene occupato da extracomunitari che cercano riparo. Telefonate alle forze dell'ordine, sgomberi, storie tristi di nuovi immigrati, finché il comune decide il recupero e la trasformazione del fabbricato.