mercoledì 13 luglio 2011

Gemma racconta Porta Palazzo

Vado orgogliosa del condominio in cui abito e del quartiere in cui, con curiosità secondo me e con incoscienza secondo altri, ho scelto di vivere.
Ne parlo spesso con gli amici e anche con Gemma, mia compagna di canto.
Gemma è una bella signora, minuta, molto curata, di una eleganza sobria tipicamente torinese. E' una professionista, ama il suo lavoro che continua ad esercitare con competenza ed energia.
Io ho vissuto a Porta Palazzo tanti anni, mi dice, andavo a scuola alla Parini, e ricordo la ghiacciaia com'era, e ricordo …. e ricordo . . . Bene Gemma, allora racconta.

Gemma nasce nel 37 a Torino. La famiglia si trasferisce per un breve periodo a Borgone di Susa, dove Gemma frequenta la scuola materna e la prima elementare, poi ritorna a Torino, e prende alloggio in un appartamento di via Priocca 24.
Era un palazzo elegante e moderno, mi dice, costruito dall'ing. Pilutti, ricordo in particolare le scale decorate a smalto di colore rosso vivo. C'era la portineria, un locale angusto con una scala a chiocciola che portava alla camera da letto, i portinai erano di religione valdese.
Le elementari le ho frequentate alla Maria Ausiliatrice, ricordo il ghiaccio sulle strade. Per andare a scuola percorrevo a piedi via Cottolengo, la via aveva le lose al centro e per il resto era acciottolato, me lo ricordo tutto ghiacciato.
In via Priocca passava il tram numero 8, da piazza Don Albera proseguiva sotto gli archi per poi svoltare a sinistra sulla piazza e continuare per via Milano. Il tram era di colore verde, spesso viaggiava con una seconda vettura a rimorchio. Non aveva porte, era aperto e per salire ci si aggrappava alla maniglia di ottone. Una lunga catena messa in orizzontale per tutta la lunghezza della vettura, serviva per comunicare con il manovratore. Chi doveva scendere si aggrappava alla catena alla quale era collegata una campanella, il dalan dalan avvisava il manovratore che alla prossima fermata avrebbe dovuto fermare la vettura per far scendere i passeggeri.
E per via Priocca salivano e scendevano carri trainati dai cavalli, erano carri con le sponde e grandi ruote rigide. Trasportavano di tutto: botti, scatole di merci varie e i blocchi di ghiaccio che caricavano alla ghiacciaia di via Priocca per rifornire tutta la città. Anche la spazzatura veniva trasportata allo stesso modo, era ben stipata sul carro ma viaggiava così en plain air, sballonzolava al trotto dei cavalli e di tanto in tanto qualche pezzo si staccava dal mucchio e svolazzando andava a posarsi sul selciato.

I commercianti di porta palazzo andavano a comprare il ghiaccio a piedi e se lo trasportavano sulla schiena servendosi di spallacci di cuoio.
Già, ricorda Gemma, il mercato sotto la tettoia . . .sotto la tettoia c'erano le massaie rurali, mi dice, già, penso io, l'epoca del regime fascista. Le massaie rurali vendevano verdura, frutta, formaggi, il seiras, formaggio d'altri tempi che si trova ancora oggi su qualche banco, e vendevano gli animali vivi: conigli, galline, pulcini, canarini, piccioni.
Oggi le massaie rurali non ci sono più, la zona è diventata 'la tettoia dei contadini', poi degli agricoltori o oggi dei produttori, ma sempre lo stesso mestiere fanno e la merce continua ad essere buona, fresca ed economica. Gli animali vivi sono scomparsi, e chi li compra più oggi? Ma li ricordo bene ancora anch'io, forse c'erano ancora fino agli anni 60 e 70.
Spostando l'attenzione sulla zona del mercato Gemma riprende a parlare.
Sulla via Priocca, dopo il negozio Gianduia, sull'angolo dove inizia la discesa, c'era una piccola osteria che serviva la buseca e vino sfuso. I commercianti e gli avventori, nelle gelide giornate invernali, andavano a prendersi un bicchiere di vino e una scodella di buseca, piatto caldo, calorico e a buon mercato.
La buseca è una zuppa a base di trippa. In quello stesso locale ora c'è un kebab. Il profumo che si sente è un altro, ma per certi versi è molto simile a quello della buseca di allora. Un profumo forte, un piatto caldo, calorico e a buon mercato.
E più giù c'era il molino Dora, ricorda Gemma. Da bambina avrebbe tanto voluto andare a giocare a nascondino insieme alla sua amica del cuore e alla figlia del mugnaio, ma i genitori severi ed attenti alla loro unica figliola non glielo hanno mai permesso. Le amiche le raccontavano di cunicoli, di passaggi segreti tra grandi ruote di pietra e canali dove scorreva l'acqua.

L'espressione di Gemma cambia, i ricordi si concentrano ora sul periodo della guerra. La scriteriata mania di grandezza del duce , ormai da anni unico artefice della sorte degli italiani, aveva portato l'Italia, di disastro in disastro, sempre più in basso fino alla guerra civile. L'unico modo per fermarlo è stata purtroppo la guerra civile.
Dunque la guerra civile.
La prima bomba su Torino cade proprio in via Priocca l'11 giugno del 40. Colpisce in pieno un isolato tra via Priocca, via la Salle e la Dora, la zona dove ora c'è il distributore di benzina.
Il 14 luglio, durante un altro bombardamento, ancora una volta viene colpita pesantemente via Priocca.
La zona era presa di mira perché nelle vicinanze c'erano: l'Arsenale, la Nebiolo ove si fabbricavano armi, la Fiat grandi motori e poco oltre sulla Dora il gasometro. Ma c'erano anche tante abitazioni civili, la zona era molto abitata, danni collaterali, è la guerra.

I voli prima erano solo notturni, ricorda Gemma, poi iniziarono a bombardare anche di giorno.
Suonavano le sirene e correvamo nei rifugi o nelle cantine. Uno dei rifugi si trovava in via Rivarolo, era vicino, ci andavamo spesso.
Una notte è stato colpito e distrutto proprio il rifugio, ma Gemma è qui a raccontarlo, quella notte lei e la famiglia avevano scelto un altro riparo. Forse proprio in quell'occasione, ricorda Gemma, è stata danneggiata anche la scuola di via Rivarolo.
Gemma ricorda le notti interrotte dall'urlo delle sirene, ricorda che il papà si muoveva lentamente e lei non capiva perché. Avrebbero dovuto correre via rapidi e lui si attardava, era lento, forse per reazione, forse bloccato dal terrore. Chissà? Difficile per noi capire.
Gli edifici pericolanti, ricorda ancora Gemma, erano indicati da un cerchio di colore rosso mattone, mentre i rifugi erano indicati con una grande erre dipinta con vernice bianca
Ricorda il rombo terribile degli aerei che si abbassavano a bombardare.
Ricorda gli spezzoni incendiari che lasciavano una scia luminosa e avevano lo scopo di distruggere con il fuoco.
Ricorda i buchi anneriti nelle case dove erano caduti gli spezzoni.
Ricorda gli impiccati in piazza Statuto angolo via san Donato.

Infine la famiglia di Gemma è costretta a sfollare a Borgone, rientrano a Torino nel 45.
La vita riprende dopo la liberazione. La città è distrutta, ma la gente ha voglia di vivere di divertirsi e di ballare.
Il mercato si rianima e compaiono giocolieri, mangiafuoco e cantastorie, la gente riprende ad uscire senza paura, Gemma ricorda l'uomo che spezzava le catene con la sola forza dei muscoli, si esibiva davanti al mercato del pesce, lo vedeva la domenica, mentre con i genitori andava a messa alla Consolata.
Negli anni successivi la città rinasce, in seguito arriva il boom economico e pian piano la ghiacciaia va in disuso.